Un tema a me caro, poichè lo trovo controverso, piacevole e spiacevole allo stesso tempo, è sempre stato quello della Solitudine.
Ecco come immaginai la Solitudine in un breve scritto del 2002.
"Un giorno insignificante, un giorno qualsiasi, la solitudine bussò alla mia porta.
Aprii.
Indossava
abiti grigi, mi guardava con aria malinconica e non riusciva a fissarmi negli
occhi, quasi si sentisse in dovere di scusarsi della propria esistenza.
Dopo
pochi istanti, prese fiato, si schiarì la voce e disse: Seguimi. Andremo lontano.
La seguii.
La seguii.
Camminammo
tra pianure deserte e oscure, tra foglie morte e alberi caduti.
Non parlava e io non osavo fare domande.
Non parlava e io non osavo fare domande.
Dopo
un tempo imprecisato, dopo notti buie e lamentose e giorni strappati alla luce
da una fitta nebbia velata di malinconia, arrivammo ad una capanna.
Una persona sedeva all'ingresso, smarrita.
La solitudine le parlò così: Tu hai finito qui. Torna al mondo.
Una persona sedeva all'ingresso, smarrita.
La solitudine le parlò così: Tu hai finito qui. Torna al mondo
La
solitudine mi indicò una sedia: Starai qui per un po'.
Mi sedetti ed essa scomparve nel silenzio.
Mi sedetti ed essa scomparve nel silenzio.
Di
giorno guardavo le nuvole e di notte le stelle, uniche compagne in quel
silenzio senza fine.
Poi,
al tramonto di un giorno come tanti, improvvisamente la solitudine tornò: Il tuo tempo qui non è ancora terminato. Ma ti giuro che terminerà.
Sperai
con tutto il cuore che fosse veramente così."
© Flavia Cantini
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